L'esperimento di Thomson

Un po’ di storia...

Oggi parlare di elettroni è quasi una cosa scontata ma 115 anni fa, quando il fisico inglese Joseph John Thomson annunciò di aver trovato un corpuscolo subatomico, la comunità scientifica lo guardò come se fosse un folle. Nato nel 1856 a Cheetham Hill, vicino Manchester, e come tutti i grandi della scienza dimostrò fin da subito di avere una mente brillante. Accantonata l’idea di diventare un ingegnere, Thomson si laureò in matematica nel 1883 e bruciò le tappe diventando professore a Cambridge nel 1884. Con una carriera così, non sorprende che la comunità scientifica gli abbia assegnato il premio Nobel nel 1906. Il motivo? I suoi grandi meriti nello studio teorico e sperimentale delle correnti elettriche nei gas.

È il caso di fare un passo indietro per capire come abbia fatto JJ a dimostrare l’esistenza degli elettroni.

Lo scienziato era rimasto folgorato dagli esperimenti condotti sui raggi catodici generati all’interno dei tubi di Crookes. Questi ultimi sono dei cilindri di vetro quasi sottovuoto dove la corrente elettrica circola generando fasci di luce visibile. Applicando dei campi magnetici, gli scienziati potevano deviare i raggi e dedurre la natura delle particelle, ma dai primi calcoli diffusi dal fisico Arthur Schuster risultava che la loro massa era mille volte inferiore rispetto a quella dell’ atomo di idrogeno.

I calcoli di Schuster vennero considerati errati dato che, alla fine del XIX secolo, la scienza pensava ancora che gli atomi fossero particelle indivisibili alla base di tutta la materia. L’esistenza di un’entità mille volte più leggera era un vero paradosso. Ma non per Thomson, che il 30 aprile 1897 si decise a presentare la propria teoria sui raggi catodici in occasione di una discussione pubblica presso la Royal Institution.

Secondo il fisico inglese, i risultati di Schuster non erano affatto errati: riproducendo l’esperimento del tubo catodico, Thomson fu in grado di dimostrare che effettivamente esistevano delle particelle con così poca massa che generavano una corrente di carica negativa. Per di più, la natura della corrente catodica restava inalterata a prescindere dal tipo di atomi utilizzati nel tubo.

Il nostro esperimento

Questo esperimento è realizzato sulla falsariga del classico esperimento con cui nel 1896 J.J. Thomson misurò il rapporto carica/massa delle particelle che costituiscono i raggi catodici prodotti da scariche elettriche in un gas rarefatto. Tuttavia differisce da quello originale in quanto nella versione qui proposta vengono utilizzati elettroni prodotti per effetto termoionico; in questa maniera sarà possibile:

  • studiare il moto di un fascio di elettroni di alta energia in presenza di campi elettrici e di induzione magnetica B, isolati o combinati
  • misurare la velocità degli stessi elettroni
  • ricavare il segno della carica ed il rapporto carica/massa dell’ elettrone. 

 

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